Perché mi definisco credente

La mia Stella Polare

Mi considero credente, anche se la Chiesa cattolica, il cristianesimo, l’intera tradizione giudaico-cristiana, non mi paiono altro che una delle tante metafore spirituali per spiegare il mistero.

Ma credo, perché non credo nel meccanicismo e nella casualità, neppure quella infinita. Erwin Lazlo, nel suo ‘The whispering pond’,  ha calcolato che l’età della terra è di gran lunga troppo breve per aver avuto il tempo di sviluppare la vita semplicemente in base a tutte le combinazioni casuali possibili. 

Io credo-di-poter-dire-che-credo perché penso che “dall’altra parte” ci sia qualcuno che ci ascolta, che si occupa di noi, spesso in un modo che capiamo in un tempo successivo. Forse è il “pentolone”, forse sono i nostri Penati, che esistono probabilmente per ogni forma vivente. Di che cosa si tratti e come funzioni non è spiegabile: troppo infinitesimale è ciò che sappiamo, rispetto a quello che c’è da sapere. Troppi sono i misteri che ci sfuggono, a partire dal tempo, la cui freccia è per alcuni (relatività), bidirezionale e per altri monodirezionale, con l’ipotesi di una evoluzione continua del creato e persino delle sue “leggi universali”. La ricerca quantistica ci rivela l’esistenza di regole, nel mondo subatomico, completamente diverse da quelle del mondo percepibile dei nostri sensi. Quello che è sicuro, ed è per questo che dico che credo, e che l’ipotesi meccanicistica e materialistica (es. Francis Crick – The astonishing hypothesis) cozza contro quella parte di me che chiamo pancia o intuito e, se non bastasse contro l’esperienza religiosa e spirituale di tutta la storia umana.
Se io voglio sapere come è fatta una mosca, posso sezionarla e studiarla con i miei mezzi, oppure, come è più probabile, vado prima ad informarmi degli studi fatti da altri prima di me.
Così, se mi pongo di fronte al problema esistenziale, posso liquidare le religioni come paccottiglia creata dall’ignoranza e utilizzata come oppio per i popoli, oppure posso pensare che, nei secoli, tutte quelle persone che hanno vissuto un’esperienza religiosa lo abbiano fatto per dare una spiegazione a qualcosa che l’esperienza materiale non è in grado di spiegare.

Una risposta a “Perché mi definisco credente”

  1. Io credo, o meglio, preferirei dire SPERO, anche se sperare non è un verbo “definitivo” ma lascia delle scappatoie. Ho avuto nel tempo molte “prove” dell’esistenza di un qualcosa al di sopra di noi che ci permette di ricevere dei messaggi.
    Il mio modo di vivere la religione viene definito da molti “di comodo” non sempre vado a messa, reputo che un’azione caritatevole valga più di una messa e ho “scartato” alcune regole

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