Qualche riflessione sulle pandemie

Le minacce di epidemie e le zone interessate al settembre 2019 (fonte: GPMB Global Report 2019)

Mi è capitato di ricevere, in questi giorni di frenetici scambi informatici tra amici e conoscenti, un documento piuttosto profetico, datato settembre 2019, preparato dal Global Preparedness Monitoring Board, un ente indipendente sostenuto dalla Banca Mondiale e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Al di là del molto burocratese e della evidente scarsa attenzione data a questo documento dalla maggior parte dei paesi, sembra sinistramente profetico, se si guarda agli espliciti moniti di possibili epidemie di influenze pericolose per il sistema respiratorio,

Sembrerebbe di capire che qualche cosa del nostro mondo globalizzato ci porti inevitabilmente a pandemie e catastrofi naturali di varia natura.

La situazione che stiamo vivendo in questi giorni e che, verosimilmente, si protrarrà molto a lungo, è dovuta al concorso di vari elementi: è il primo sforzo di controllare un’epidemia a livello globale, attraverso lo scambio di informazioni ed azioni generalizzate; si verifica in un contesto in cui i movimenti delle persone sono cresciuti in modo senza precedenti. Gli effetti potrebbero essere incalcolabili per l’economia e per il nostro modo di vivere, tenendo conto che le nostre connessioni reciproche ci riguardano ormai dovunque e ad ogni livello.

E, parallelamente, come già accennato in altre parti di questo blog, mi viene da chiedermi se queste pestilenze non siano, in realtà, che un meccanismo di salvaguardia della natura, una manifestazione della sua resilienza di fronte a stravolgimenti dell’equilibrio e della biodiversità.

E che di uno stravolgimento si tratti, nell’avventura umana, ho pochi dubbi. Come specie, abbiamo avuto uno sviluppo abnorme, forzando tutte le barriere poste dalla natura all’eccessiva espansione demografica, partendo dai predatori naturali, sino a quelle forme di selezione naturale ed autocontenimento che sono le guerre. Sicuramente crudeli e assurde dal punto di vista razionale antropocentrico, ma forse anch’esse parte dei meccanismi di resilienza della natura.

Le catastrofi naturali e le pestilenze non riguardano solo il genere umano. Se osserviamo i boschi, la loro composizione è continuamente in evoluzione. in determinati momenti assistiamo ad una moria di abeti, presto sostituiti da altre specie di alberi, poi si ammalano i castagni, e il loro posto viene preso dalle quercie e via a turno. in genere, le monoculture e la mancanza di biodiversità rendono una popolazione molto vulnerabile alle malattie epidemiche (una riflessione sorge spontanea per l’immigrazione…). Il bosco rimane anche se spariscono i castagni.

Ma, tornando alla sfera strettamente umana, i grossi problemi generano grandi cambiamenti. Nessuna grande innovazione è nata senza la spinta della necessità, senza un gran calcio nel sedere. “A smooth sea never made a skilled sailor“, Un mare tranquillo non ha mai prodotto un marinaio capace, per ricordare una frase di Franklin Delano Roosevelt.

Questo vale, lo dico con la consapevolezza di uomo anziano, anche per quelle epidemie che colpiscono soprattutto i vecchi. La morte è indispensabile perché ci possa essere la vita; nelle auto, sono i nuovi modelli che rendono obsolete quelle esistenti.

La nostra società, con la ricerca scientifica dell’eterna giovinezza, del meccanismo per fermare l’invecchiamento delle cellule, aspira a violentare ancora una volta i meccanismi naturali. Ma una società in cui non si muore più diventerebbe una società fossilizzata e sempre più autoreferenziale.

Lascio queste considerazioni fantascientifiche per il momento, anche perché l’impressione di brancolare nel buio che viene dagli stati considerati più avanzati, di fronte all’affacciarsi di una delle tantissime potenziali pestilenze ed i messaggi contrastanti che vengono dalla “comunità scientifica”, dovrebbero richiamare la scienza, non come metodo scientifico, ma come rappresentazione esterna, a maggiore sobrietà ed umiltà.

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