Chi sono

Non posso evitare di presentare me stesso, perché queste pagine rappresentano il mio individuale punto di vista e non hanno altra finalità o pretesa se non di sintetizzare e, possibilmente confrontare con altri, quanto credo di aver appreso nei miei molti anni di vita.

Alla nascita di questo sito, in data 1/1/2020, mi avvio ad entrare nel mio 69° anno di vita. Sono dunque sulla dirittura di arrivo, anche se nessuno può sapere quanto sarà lunga.

Sono sempre stato attratto dai temi della spiritualità e dalla introspezione. Dopo buoni studi classici, non ho seguito studi filosofico-linguistici, a cui probabilmente sarei stato naturalmente portato, per motivi di convenienza occupazionale, né studi scientifici, nonostante il mio interesse per la chimica, per un cattivo rapporto (allora) con la matematica. Ho fatto una non scelta, laureandomi in scienze politiche e lavorando nell’industria.

Una delle mie opzioni iniziali era stata la carriera militare in Marina, a cui ero legato per motivi familiari e per successiva formazione. Ma correva l’anno 1969 e il mondo sembrava troppo vasto, movimentato ed attraente, perchè potessi rientrare negli stretti binari di una Accademia.

Piero Mattirolo

Ho anche sempre reputato l’arte come la più alta e nobile delle vocazioni. L’arte è unica, indipendentemente dai linguaggi in cui si esprime. Arte è comunicazione. Ossia la capacità di fare risuonare altri esseri umani all’unisono.

In questo senso, l’arte è sempre un fenomeno collettivo, nel senso che sono necessarie sempre, come minimo, due persone, che possano, anche separate nel tempo e nello spazio, ma unite dall’opera, risuonare insieme. E, nell’istante in cui il fruitore dell’opera risuona insieme con l’autore, anche il fruitore diviene artista.

Artista è chi ha la capacità di “toccare le corde”, mettere in risonanza i cuori degli esseri umani. L’artista è un musicista, che suona uno strumento particolare, i cuori delle persone.

Eppure, con tutto questo, pur attratto da narrativa, musica e pittura, non ho mai avuto il coraggio di “spiccare il volo” e scegliere una forma artistica come professione. Non ritenevo di avere la forza e la capacità per uscire dalla mediocrità. Ho sempre preferito il dilettantismo al professionismo. Paura di battermi o paura di insufficiente autodisciplina? Ma, forse, i confini tra professionismo e dilettantismo sono sempre stati sfumati.

Sono stato educato a stimare tra le più alte qualità umane quella del coraggio. Che non ritengo qualità innata, altrimenti la mosca che ti si posa addosso sarebbe l’animale più coraggioso di tutti.

Il coraggio, analogamente alla paura, alla viltà, si apprende, si coltiva, giorno per giorno. È la vittoria della razionalità sull’istinto, ma può diventare anch’esso una specie di istinto, un riflesso condizionato, che mette l’animo in un atteggiamento attivo, anziché passivo nei confronti della minaccia.  Si dovrebbe correggere l’affermazione manzoniana, a proposito di don Abbondio, “se uno il coraggio non lo ha, non se lo può dare”, in “se uno il coraggio non lo ha coltivato, non lo può improvvisare”.  Non esistono soldati coraggiosi e soldati vigliacchi: esistono soldati addestrati e soldati impreparati.

Nella mia vita sentimentale penso di essere stato fortunato e di avere, non senza vicissitudini, trovato una compagna di vita di inestimabile valore e assolutamente complementare con me. Ho avuto due figli ed ho provato, nella mezza età, quello che si considera, se ha senso una gerarchia per la sofferenza, uno dei maggiori dolori che si possono provare nella vita. Ma la vita ti costringe a continuare tutto come prima, perché la morte è banalmente un fatto come tutti gli altri, anche se ti colpisce alle fondamenta. Durante le prime settimane, trovandomi da solo provavo il bisogno di procurarmi un dolore fisico che potesse controbilanciare il senso di oppressione di fronte all’ineluttabilità di quanto mi aveva e ci aveva colpiti. E non so immaginare, perchè il dolore è sempre solitario, quanto abbiano sofferto gli altri membri della mia famiglia. In particolare chi ha perso una sorellina e compagna di tutto e cresce con l’impegno e la responsabilità di riempire il vuoto che lei ha lasciato.

Lascio queste righe in chiusura non per essere compatito, ma perché, dovendomi presentare, non avrei potuto farlo realmente se le avessi omesse.